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Cantina Vinicola

Progetto in corso d’opera

 

Il sito si colloca alle pendici di un grande anfiteatro collinare in una zona storicamente interessata dalla coltivazione della vite e dell’ulivo. La posizione prescelta per l’edificio di progetto insiste in una porzione della proprietà che ha una collocazione baricentrica rispetto alle attività produttive dell’azienda. Rifiutando plagi o stilemi passatisti il progetto si propone come “utensile da lavoro”, perfettamente adattato alla tecnologia sempre più affinata dei metodi di vinificazione e con un’architettura fortemente integrata nell’ambiente, grazie alla scelta della costruzione ipogea. Vigneti e campi in pendenza e in piano, aree a bosco e a frutteto, muri a secco, andamento curvilineo delle colline e delle scarpate dei terrazzamenti, formano un insieme di riferimenti morfologici ripresi nel progetto per integrare manufatto e paesaggio. L’intervento è collocato proprio dove il pianoro di fondo valle si piega per seguire il pendio della destra orografica. A livello planimetrico l’edificio va ad orientarsi sui segni forti dell’orografia del paesaggio, marcato fortemente dalla storica vocazione agricola, e su quelli del tessuto viario, e con il suo disegno allude volutamente alla sinuosità delle colline circostanti, grazie alle eleganti curvature del fronte principale.  A livello prospettico, un segno orizzontale quasi invisibile a monte e dai prospetti laterali e come una “lama sottile” se vista dalla valle, sembra aggiungere semplicemente un’altra piega al corrugamento del pendio, segnato dal lento e incessante lavorio dell’operosa agricoltura del vino, che nei secoli ha modificato quest’ambiente vallivo incidendo i declivi con gli storici terrazzamenti. L’idea, dal punto di vista paesaggistico, è quindi molto elementare nella sua semplicità: sollevare un lembo del pendio e “nascondervi” al di sotto il considerevole volume necessario allo svolgimento dell’attività vitivinicola dell’azienda. Un’opzione – quella ipogea – che non è dovuta ad una scelta progettuale timida, e in qualche modo vile, che   rinuncia pregiudizialmente a proporre un’architettura, ma che invece nasce dalla consapevolezza della fragilità di questo paesaggio e dalla forte volontà della committenza di integrare ancor di più questa realtà produttiva nel territorio, nel pieno rispetto di quest’ultimo e nella consapevolezza che “non vi è vino senza paesaggio, né – in questa zona – paesaggio senza vigneti”. È facile intuire infatti come qualsiasi altra scelta architettonica, collocata eventualmente anche in contesti diversi da questo, avrebbe portato ad un impatto ambientale di tutt’altra entità.

 Non si vuole nascondere tuttavia che, al di là degli aspetti paesaggistici, vi sono anche altre importanti motivazioni – legate ad esigenze specifiche, più propriamente connesse alla produzione e alla sostenibilità energetica –  che concorrono a favorire una scelta sicuramente non economica, se confrontata con i costi di una costruzione in gran parte “fuori terra”. L’ambiente interrato rappresenta infatti una scelta efficace anche sul doppio versante del risparmio energetico e della efficienza bioclimatica; mentre infatti garantisce che il vino in fase di stoccaggio e d’invecchiamento non venga esposto alla luce solare e che l’ambiente sia stabile dal punto di vista termoigronomico, l’inerzia termica dello strato di terra di copertura – di spessore minimo di 1,5 m – assicura delle prestazioni energetiche alla struttura difficilmente raggiungibili lavorando su un semplice “involucro” architettonico. Su queste premesse, l’articolazione interna degli spazi è razionalmente organizzata sul ciclo produttivo, tenendo conto delle necessità funzionali e igienico-sanitarie dei vari ambienti. Mentre infatti tutti i locali di lavorazione (appassimento, vinificazione, imbottigliamento, laboratori e confezionamento, vendita e amministrazione) necessitando dei rapporti di aereo illuminazione determinati dalla normativa vigente, si aprono sull’unico prospetto verso valle, completamente ipogei saranno gli spazi destinati all’affinamento: i locali d’invecchiamento, i depositi e i magazzini dei prodotti finiti. Anche la circolazione interna e la scelta di impostare la struttura su un unico livello, esaltano la stretta relazione tra organizzazione degli spazi e produzione, nell’intento di razionalizzare gli spostamenti interni relativi alla produzione e di limitare l’impatto ambientale delle aree esterne necessarie alle manovre. L’impianto si fonda infatti su una vera e propria dorsale, il lungo passaggio coperto e carrabile che percorre per l’intera lunghezza l’edificio.

Essendo la struttura in gran parte interrata, per le superfici verticali esterne è più corretto utilizzare il singolare; più che di prospetti, si tratta infatti di unico lungo fronte sinuoso – senza soluzioni di continuità – che, andando a sostituire visivamente una balza del terreno preesistente, avvolge lo scarto altimetrico generato dal salto di quota tra la nuova copertura a verde – il “lembo di terra sollevato” – e l’andamento esistente del declivio. La percezione dell’altezza effettiva sarà mitigata grazie “all’effetto trincea” del percorso coperto antistante – che corre al di sotto del profilo del terreno esistente portando a misurare al massimo 3,5 ml la distanza fra copertura e linea di terra;  la visibilità del prospetto verrà poi ulteriormente ridotta dalla quinta vegetale del vigneto impiantato in questa zona frontale. Il trattamento delle superfici rimanderà inoltre ad un’altra delle caratteristiche del territorio grazie all’interpretazione di questo fronte quale “affioramento roccioso” – formazione tipica delle colline della zona – attraverso il rivestimento con materiale lapideo che s’intende cavare direttamente in loco, dallo scavo necessario alla costruzione. L’intero fronte sarà in qualche modo reso ancor più sfuggente alla vista dal fondo valle grazie al denso velo d’ombra che vi proietterà la lunga pensilina soprastante, per la maggior parte delle ore e dei giorni dell’anno. Questo elemento fortemente aggettante, oltre ad assolvere a funzioni di mitigazione nelle ore del giorno, aiuterà anche nelle ore serali ad annullare l’eventuale effetto di “inquinamento luminoso”.

La riduzione delle zone esterne pavimentate, così come la scelta di base incassare la costruzione sotto il manto verde di copertura, riduce al minimo la perdita di terreni produttivi, permettendo il re-impianto delle vigne sulla quasi totalità del lotto. Se gli effetti positiva sulla produzione sono ovviamente immaginabile, dal punto di vista ambientale, la drastica riduzione delle superfici impermeabili, permette un più agevole smaltimento delle acque meteoriche residue. Inoltre l’impianto sarà realizzato in subunità di dimensioni ridotte separate da piste di manovra e i tutori dovranno essere preferibilmente in legno utilizzando le specie tipiche locali, castagno e robinia. Alla testa dei filari saranno messi a dimora di alberi da legno o da frutto, a seconda delle caratteristiche e le tradizioni locali. Il progetto tende quindi letteralmente ad innestarsi in questo pregevole tessuto, riducendo al minimo le alterazioni, fino renderle più affini a quelle di un “miglioramento fondiario” che alla realizzazione di un nuovo edificio.

 

 

 

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VIVAVINO
INTERNI TEODORICO RE

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